Museo Civico di Crema e del Cremasco

È Crema, il battito dell’incontro

Info e orari

 

Storia del Museo

Il museo cittadino occupa gli spazi un tempo appartenuti a un convento agostiniano. Il cenobio fu costruito grazie al lascito testamentario di Gian Tommaso Vimercati (1422). L’uomo infatti aveva previsto la donazione di alcuni edifici per la fondazione di una chiesa dedicata all’Annunciazione e del relativo convento, per espiare le colpe della propria famiglia, nota per praticare l’usura. Dopo una serie di vicissitudini, la costruzione del complesso fu cominciata nel 1439 e la chiesa fu conclusa nel 1466, mentre il convento secondo alcune notizie risulta concluso nel 1495. Nel 1507 Giovan Pietro da Cemmo, al termine dei lavori di pittura del refettorio, appose la data agli affreschi, permettendoci di individuare gli estremi temporali. La chiesa del convento fu poi demolita nel 1642 per lasciare posto alla nuova costruzione progettata dall’architetto Francesco Maria Richini (Milano, 1584 – 1658). Nel 1797, in epoca napoleonica, il convento fu soppresso e nel 1830 circa la chiesa fu demolita. Da questo momento il complesso conobbe un periodo di decadenza: venne trasformato in caserma e, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ospitò delle famiglie di sfollati. Solo nel 1959 il Comune acquistò l’ex convento e nello stesso anno fu istituito il Museo Civico di Crema e del Cremasco, che aprì ufficialmente il 21 maggio 1960 a seguito dei lavori di restauro dell’edificio.

 

Sezione archeologica

Questa sezione raccoglie reperti che illustrano la storia e la cultura materiale del territorio cremasco. Le prime testimonianze sono da riferirsi alla realtà faunistica che popolava l’area padana durante l’Ultima massima glaciazione. Si tratta di due resti fossili di Cervus elaphus e di Bison priscus.

I reperti successivi riguardano l’età neolitica, di cui abbiamo testimonianza mediante una serie di strumenti litici, e le età dei metalli (Età del Rame, del Bronzo e del Ferro). All’Età del Bronzo Finale si riferisce una delle collezioni più importanti del Museo. Si tratta dei materiali provenienti da Vidolasco, località Montecchio, un centro abitato collocato in posizione elevata, attivo per tutto il X secolo a.C. e ascrivibile alla cultura Protogolasecchiana. 

Guarda il video: Testimonianze archeologiche dal paleolitico all’età del ferro

I flussi migratori che caratterizzarono parte dell’Età del Ferro coinvolsero anche la nostra penisola e determinarono l’installarsi dei Celti in Italia settentrionale. In questo quadro, il territorio cremasco si pone quale zona intermedia tra l’area occupata dai Galli Insubri e dai Galli Cenomani. Tra le testimonianze della presenza celtica ricordiamo i corredi provenienti dalle tombe di Spino d’Adda, Ricengo, Camisano e Palazzo Pignano. La sottomissione dei Galli da parte dei Romani nel 191 a.C. determinò l’inizio di un vero e proprio processo di romanizzazione e riorganizzazione del territorio. Il cremasco entrò a far parte dell’Ager bergomensis (territorio agricolo dell’area amministrativa di Bergamo) e alla fine del I secolo a.C. fu incorporato nella Regio XI augustea. Sotto Diocleziano, alla fine del III secolo d.C., divenne parte della provincia Venetia et Histria. I materiali esposti pertinenti al periodo romano vanno dall’epoca tardo-repubblicana sino al IV-V secolo d.C.

Tra questi ricordiamo quattro anfore, di varia tipologia e provenienza, a testimonianza dell’importanza dei traffici commerciali che coinvolgevano l’Italia settentrionale.

Guarda il video: Testimonianze archeologiche romane

Di grande interesse sono anche il tesoretto rinvenuto a Camisano e i tre frammenti di un mosaico del complesso della villa tardo-antica di Palazzo Pignano, sviluppatasi tra il IV e il V secolo d.C. Il pavimento musivo si compone di una serie di motivi geometrici realizzati in tessere bianche, nere e rosse. 

Testimonianze del periodo longobardo provengono dai contesti funerari di Offanengo e Castel Gabbiano. In particolare, le tre tombe rinvenute a Offanengo in località San Lorenzo, ascrivibili all’ultimo terzo del VII secolo d.C., denunciano l’appartenenza dei defunti ad un rango sociale elevato. 

Guarda il video: Testimonianze archeologiche longobarde

Il Museo ospita anche una raccolta di maioliche, ceramiche medievali e rinascimentali decorate a ingobbio o smaltate. I pezzi provengono da scavi o da rinvenimenti sporadici in città e nel territorio e costituiscono un campionario di ciò che circolava nel cremasco tra il XV e il XVI secolo.

La sezione si chiude con le terrecotte medievali e rinascimentali provenienti dal Duomo di Crema. In particolare si segnalano i frammenti di teste di angeli opera del plasticatore noto col nome convenzionale di ‘Maestro degli angeli cantori’ (metà XV secolo) e i frammenti di due predelle, con le scene della Natività di Cristo e forse una Resurrezione, dovuti allo scultore cremasco Agostino de Fondulis (1460 circa – 1521 circa), un tempo parte del polittico fittile che decorava l’altare di san Marco in Duomo.

Sezione egizia

Il nucleo principale della Sezione Egizia, inaugurata nell’aprile del 2019, è costituito dai reperti della Collezione di Carla Maria Burri (1935-2009), donati al Museo per volontà testamentaria dell’illustre Cremasca. All’inizio del 2020, la Sezione è stata ulteriormente incrementa grazie al lascito di antichità dei coniugi Camillo Lucchi e Carla Campari, legati a Carla Burri da profonda amicizia. Attualmente le collezioni egizie del Museo contano più di duecento reperti, la maggior parte dei quali esposti al pubblico. Il percorso si apre con l’esposizione di manufatti litici che coprono un vasto arco cronologico dal Paleolitico inferiore al Neolitico. A seguire, il pezzo più antico di Età faraonica, ovvero una piastrella in faïence che faceva parte della decorazione della “Piramide a gradoni” del re Djoser. Al Primo Periodo Intermedio e agli inizi del Medio Regno risalgono invece una tavola d’offerta in terracotta e due statuette lignee originariamente inserite in modelli di vita quotidiana. Si apre quindi una sezione dedicata più propriamente al corredo funerario che prevede l’esposizione di alcune delle tipologie maggiormente rappresentative dei suoi costituenti. Tra questi gli ushabti, e numerose maschere di sarcofagi lignei originariamente applicate agli stessi per ottenere un aspetto antropomorfo. A questa categoria di reperti si aggiungono anche due frammenti di cartonnage, caratterizzati da vivace policromia e risalenti all’Epoca tolemaica o romana, riconducibili rispettivamente alla parte terminale del retro di una maschera funeraria e a una copertura per piedi di mummia. Come molte altre collezioni, anche quella di Crema presenta un numero cospicuo di amuleti e di bronzetti, realizzati prevalentemente in tarda età faraonica.

Tuttavia, il maggior numero di reperti della collezione – non tutti esposti perché alcuni ridotti a frammenti – è riconducibile invece alla produzione coroplastica egiziana di Età greco-romana. Oltre alle principali divinità oggetto di culto durante questo lungo periodo, si annoverano figurine virili e mulièbri appartenenti a tipologie diverse, così come statuine zoomorfe. All’Epoca romana, ma anche a periodi più recenti, rimandano invece numerose lucerne della collezione, alcune delle quali particolarmente ben conservate appartenenti al tipo “a rana”. Alla produzione fittile, ma di Epoca copta, risalgono invece due “ampolle di San Mena”, piccole borracce destinate ai pellegrini che si recavano, a partire dal IV sec. d.C., nel luogo sacro dedicato al primo martire cristiano d’Egitto. Nella collezione sono presenti anche diciannove recipienti in vetro che coprono un arco temporale molto ampio che va dalla prima Epoca imperiale romana alla prima Epoca islamica. Particolare rilievo nel percorso espositivo, per via della loro importanza, è stato dato ai reperti lapidei della collezione, tra i quali una scultura in calcare che riproduce il volto di un sovrano di Epoca tolemaica, una testa leonina anch’essa in calcare, un frammento di vaso con iscrizione geroglifica in calcite alabastrina, e una stele funeraria policroma a nicchia che accoglie la rappresentazione di un giovane uomo assiso, ricollegabile a una produzione tipica del III-IV secolo d.C. Chiudono il percorso espositivo alcuni materiali di Epoca islamica, tra i quali spiccano un papiro iscritto e un frammento di tessuto, in cotone con ricamo in lana, risalente al Periodo Mamelucco.

Guarda il video: Dal Nilo al Serio – Introduzione alle antichità egiziane del Museo Civico di Crema e del Cremasco

Bibliografia della Sezione egizia

Sezione arte medievale e moderna

Questa sezione raccoglie opere databili dal XIV al XVIII secolo provenienti in prevalenza dal territorio cremasco, realizzate da artisti locali e non. La cultura figurativa cremasca in tutte le epoche ha risentito della specificità del territorio sospeso tra l’appartenenza geografica alla Lombardia e la secolare dominazione della Repubblica di Venezia (1449 – 1797), con una peculiare compresenza dei due linguaggi, lombardo e veneto.

Le dimensioni di alcune opere in relazione agli spazi disponibili hanno impedito di esporle seguendo un rigoroso ordine cronologico. Per facilitare il visitatore, nell’identificare a un primo colpo d’occhio la scansione temporale delle opere, i cartellini di corredo hanno colori differenti a seconda dei secoli.

Fra le opere più antiche spiccano gli affreschi strappati provenienti dalla ex chiesa di San Domenico a Crema, databili attorno alla metà del XIV secolo [cartellini verdi].

Il XV secolo [cartellini blu] è rappresentato dalle sessanta tavolette da soffitto provenienti dal Palazzo Benzoni di Crema (via Civerchi, 9) e dalla tavola raffigurante San Nicola da Tolentino realizzata da un pittore dell’Italia nord-occidentale.

Per il XVI secolo [cartellini rossi] si segnalano la tavola a forma di mandorla raffigurante San Francesco d’Assisi, opera del pittore cremasco Vincenzo Civerchio (1470 circa – 1544), la tavola raffigurante San Rocco dovuta a un pittore zenaliano-leonardesco, i lacerti d’affreschi del manierista cremasco Aurelio Buso (1505 circa – post 1582) provenienti dal Palazzo Alfieri di Crema (via Mazzini, 16) e le due grandi pale d’altare già nella distrutta chiesa di Sant’Agostino: la Deposizione di Cristo realizzata dal cremasco Carlo Urbino (1525 – 1585) attorno al 1578 e la Madonna con il Bambino, santi e angeli firmata dall’agostiniano Fra’ Sollecito Arisi (notizie 1591 – 1651) nel 1591.

Guarda il video: La galleria del Cinquecento Cremasco – gli affreschi di Aurelio Buso

Al XVII secolo [cartellini rosa] appartiene la terza grande pala, proveniente sempre dalla demolita chiesa di Sant’Agostino, firmata da Palma il Giovane (1548/1550 – 1628). Troviamo poi le tele del maggiore pittore cremasco dell’epoca, Giovan Battista Lucini (1639 – 1686) nato a Vaiano Cremasco, del pittore di origini cremonesi, ma lungamente attivo a Crema, Tommaso Pombioli (1579 – 1636 circa) e del suo discepolo Gian Giacomo Barbelli (1604 – 1656) di Offanengo. Tra le opere di pittori forestieri si segnalano il San Girolamo della bottega di Guercino (1591 – 1666), il Convito di Baldassarre del veronese Martino Cignaroli (1649 circa – 1726) e il Ritratto del podestà Filippo Farsetti del bergamasco Vittore Ghislandi detto fra’ Galgario (1655 – 1743).

Guarda il video: La pinacoteca e i suoi tesori

Fra le opere del XVIII secolo [cartellini viola] troviamo la Santa Maria Maddalena del milanese Stefano Maria Legnani detto il Legnanino (1661 – 1713), la Guarigione del paralitico di Cafarnao e la Resurrezione di Lazzaro tele del genovese Alessandro Magnasco (1667 – 1749) eseguite in collaborazione con il piemontese Clemente Spera (1661 – 1742), il Cristo con i santi Francesco di Sales, Egidio e Gaetano Thiene del veronese Gian Domenico Cignaroli (1724 – 1793), la Visita a santa Elisabetta del pittore cremasco Mauro Picenardi (1735 – 1809)

e infine una parata di quattordici Scheletri raffiguranti tutti gli strati sociali, curiosi soggetti che venivano appesi nella chiesa di San Bernardino in città in particolari predicazioni che anticipavano la Quaresima.

Guarda il video: Memento mori: La galleria delle tele macabre

Sezione arte contemporanea

Questa sezione raccoglie soprattutto opere di artisti cremaschi attivi nel XIX secolo [cartellini grigi] e nei primi decenni del XX secolo [cartellini arancioni]. Al primo piano troviamo tele di Gianetto Biondini (1920 – 1981) e Carlo Martini (1908 – 1958) e le sculture in gesso, terracotta e bronzo di Achille Barbaro (1910 – 1959).

Scendendo al pianterreno nella prima sala s’incontrano le tele del castelleonese Francesco Arata (1890 – 1956), di Mario Chiodo Grandi (1872 – 1937) e due sculture in gesso di Enrico Girbafranti (1885 – 1965).

Proseguendo nella seconda sala, l’ex sala capitolare del convento dalla magnifica volta scompartita da costoloni fittili, si trovano i dipinti di Ugo Bacchetta (1930 – 2005), Sigismondo Martini (1883 – 1959), Giuseppe Perolini (1925 – 2011), Angelo Noce (1943 – vivente), del ripaltese Carlo Fayer (1924 – 2012) e del milanese, trasferitosi poi a Pianengo, Federico Boriani (1920 – 2011). Completano l’allestimento di questa seconda stanza due sculture in terracotta del castelleonese Amos Edallo (1908 – 1965) e due acqueforti della soresinese Federica Galli (1932 – 2009).

Infine, nell’ultima sala sono conservate opere dello scenografo cremasco Luigi Manini (1848 – 1936), a lungo attivo anche come architetto in Portogallo, dei pittori cremaschi Eugenio Giuseppe Conti (1842 – 1909), Angelo (1841 – 1920), Azzeglio (1870 – 1907) e Tulio Bacchetta (1892 – 1974), Pietro Racchetti (1809 – 1853), Antonio Rovescalli (1864 – 1936) e della pittrice Camilla Marazzi (1885 – 1911). Si trovano inoltre una scultura in gesso dorato del milanese Ernesto Bazzaro (1859 – 1937), due disegni, uno del ticinese Vincenzo Vela (1820 – 1891) e l’altro del milanese Domenico Induno (1815 – 1878).

Per concludere due tele di Gaetano Previati (1852 – 1920): la prima raffigurante il celebre episodio degli Ostaggi cremaschi posti come scudi umani sulle macchine da guerra utilizzate dalle truppe dell’imperatore Federico Barbarossa durante l’assedio di Crema del 1159 – 1160 e la seconda un bozzetto a carboncino e biacca con Cristo e gli Apostoli.

 

Guarda il video: L’arte dell’800 e 900

Sezione cartografica

Questa sezione raccoglie una quarantina di mappe realizzate tra il XVI e il XIX secolo per illustrare il territorio cremasco raffigurandone anche alcuni dei principali monumenti.

Fra le altre si segnalano la rarissima Carta del territorio cremasco di Paolo Forlani (notizie 1560 – 1574) stampata a Venezia nel 1570 e le sette piccole carte di Vincenzo Maria Coronelli (1650 – 1718) pubblicate sempre nella città lagunare agli inizi del XVIII secolo, considerate quest’ultime come il primo depliant turistico della nostra città. 

Molto importanti sono poi i disegni che raffigurano le rogge, impiegati per secoli per la gestione delle acque per l’irrigazione dei campi.

Interessante infine la settecentesca incisione che riproduce la fiera che si teneva un tempo sulla sponda sinistra del Serio (oggi via Cremona).

Chiostri

Uscendo dalle sale museali nei chiostri potrete gustare la calma e la tranquillità di questo luogo che vi riporterà indietro nel tempo e vi farà sentire come dei frati agostiniani raccolti in religiosa contemplazione.

Nel primo chiostro si trova ancora la porta, ornata da splendide modanature in cotto, che conduceva alla sala capitolare ora sede della sezione di arte del Novecento. Sotto gli archi si trovano anche lapidi e busti celebrativi di importanti musicisti cremaschi quali ad esempio il grande contrabbassista Giovanni Bottesini celebrato con il concorso internazionale a Lui dedicato.

Spostandovi nel secondo chiostro incontrerete la sezione museale dedicata all’arte campanaria. Qui sono esposti i ceppi lignei e le ruote, databili al XIX secolo, provenienti dal campanile della Cattedrale di Crema facenti parte dei meccanismi di attivazione delle campane. Accanto all’allestimento dei ceppi è possibile seguire un percorso illustrativo della tradizione campanaria del territorio ancora oggi attiva.

In fondo a questo stesso chiostro potrete raggiungere l’ex-refettorio conventuale. Oggi chiamato salone Giovan Pietro da Cemmo, dal nome del pittore che vi lavorò con la propria bottega. Era la sala deputata a ospitare i frati durante i pasti quotidiani.

Sulle pareti corte si conservano gli affreschi rappresentanti l’Ultima Cena (della quale è esposta anche la sinopia, ossia il disegno preparatorio) e la Crocifissione, le pareti lunghe sono invece decorate dalle lunette con i ritratti di illustri frati agostiniani. Nel fregio sottostante l’Ultima Cena, a sinistra della porta, è possibile scorgere la data 1507, in cui gli affreschi furono ultimati.

Sezione etnografica ‘Casa Cremasca’

Questa sezione espone parte delle ricche collezioni di materiali etnografici riguardanti gli usi e costumi. Gli oggetti sono allestiti in modo da ricreare l’arredamento di una tipica casa di campagna cremasca e la vita quotidiana dei suoi inquilini negli anni a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.

Gli utensili esposti, accompagnati da pannelli didattici, descrivono la struttura dell’abitazione organizzata attorno a due ambienti principali: la cucina e la camera da letto. Approfondimenti spiegano le varie fasi e gli strumenti che scandivano un tempo il lavoro contadino, la produzione del lino assai diffusa nel nostro territorio, il tipico corredo di una sposa, gli usi alimentari, le unità di misura locali, l’igiene e la devozione privata. Non mancano poi di essere illustrate alcune curiosità inerenti al gioco del pallone e ai primi velocipedi.  

Sezione arte organaria

Questa sezione raccoglie una serie di manufatti dedicati alle botteghe artigiane degli organari e dei cannifonisti che, a partire dal XIX secolo, sono fiorite nel territorio cremasco. Una tradizione che ebbe prestigiosi esponenti nelle famiglie dei Lingiardi, dei Franceschini (attivi fino al 1940) e dei Cadei che diffusero un sapere e una tecnica che avrebbe dato i suoi frutti migliori con le botteghe fondate prima da Pacifico Inzoli (1843 – 1910) e poi da Giovanni Tamburini (1857 – 1942), entrambe ancora in attività e che fondarono la tradizione organaria cremasca

La sezione si articola su due sale. La prima espone una serie di organi e canne d’organo di diverse dimensioni tra le quali spicca una canna in Fa-1 di 24 piedi, funzionante e azionabile tramite apposito meccanismo, creata per l’occasione dalla ditta Scotti che riproduce l’analoga canna presente nell’organo della Cattedrale di Cremona opera di Pacifico Inzoli del 1879. Una maggiore interazione con i visitatori è offerta da un organo multimediale completo di doppia tastiera. Si tratta di uno strumento che permette di scoprire, interagendo fisicamente, il mondo degli organi e delle figure professionali che ruotano attorno a tale strumento. Sempre in questa sala è esposta della documentazione d’epoca che pone l’accento sugli artigiani protagonisti di questa specifica produzione cremasca, come Inzoli e Tamburini e documenti riguardanti l’organista e compositore cremasco Vincenzo Petrali (1832 – 1889).

Nella seconda sala si approfondiscono gli aspetti riguardanti le fasi della realizzazione degli organi ricostruendo una bottega artigiana dove, partendo dalla fusione dei metalli per la produzione delle canne, attraverso le diverse fasi di fabbricazione quali la lavorazione delle lastre di metallo, la loro arrotolatura attorno alle forme, la costruzione dei mantici, dei somieri e delle trasmissioni, si arriva alla realizzazione di un organo completo e funzionante.

Sezione archeologia fluviale

Questa sezione è dedicata alle tredici piroghe monossili, di cui solo quattro esposte, rivenute tra gli anni Settanta e Novanta del XX secolo nei fiumi Po, Adda e Oglio.

Il monossilo è un’imbarcazione ottenuta scavando e svuotando interamente un unico tronco d’albero mediante l’uso di utensili in pietra, metallo o del fuoco. Si tratta della più antica forma di natante documentata in Europa prima dell’introduzione delle imbarcazioni a fasciame. La sua produzione risale già al Mesolitico, grazie all’introduzione di utensili con lama, e prosegue anche nelle epoche storiche. La datazione delle piroghe del museo è stata oggetto di dibattito, in un primo momento esse erano state poste in epoca preistorica, mentre successivi studi e analisi hanno permesso di datarne una con certezza al III secolo d.C. e collocarne invece altre in un lasso cronologico compreso tra il VII e XII secolo d.C.

L’utilizzo delle piroghe era rivolto alla raccolta di fasciame, all’attività della pesca, in particolare quella con la rete, favoriva le comunicazioni, ove gli insediamenti erano collocati presso margini lacustri o su piccole isole, e i traffici commerciali; inoltre in siti protostorici, come quelli di Neuchâtel e Ledro, probabilmente servirono per fissare i pali delle palafitte. Svolsero altresì scopi secondari come bare, abbeveratoi, trogoli per cibo degli animali, slittini-carretti, culle, sepolture e tombe.

I rinvenimenti dei monossili europei sono strettamente legati all’abbassamento dei livelli dei laghi e dei fiumi, in questo quadro il Po, con i suoi affluenti, costituisce uno dei contesti più importanti per l’archeologia fluviale italiana, in considerazione del ruolo fondamentale che svolse per i traffici e le comunicazioni nelle diverse epoche. In Lombardia è stato, infatti, rinvenuto il più alto numero di monossili della penisola.

Le ‘machinète’ – scrittura, tecnologia e design

Nel 2005 il Museo ha potuto acquisire la straordinaria collezione di macchine per scrivere appartenuta a Lodovico Tinelli. La raccolta presenta uno spaccato delle principali innovazioni tecniche e concettuali che hanno caratterizzato la produzione delle macchine per scrivere nel mondo e in Italia a partire dal XIX secolo fino alla comparsa del computer e testimonia l’operosità e la capacità innovativa dei progettisti e delle maestranze che operarono a Crema all’interno della Società Serio e successivamente della Olivetti a partire dagli anni ’30.

L’esposizione di una parte degli oltre 200 esemplari della collezione illustra i passi fondamentali della nascita e dell’evoluzione delle macchine per scrivere a partire dal XIX secolo fino alle produzioni italiane, ed in particolare cremasche, di Serio-Everest e Olivetti. Particolare spazio è stato dato agli esemplari prodotti per rispondere ad esigenze particolari, come le macchine per scrivere note musicali o in braille o macchine “didattiche”, impiegate per imparare a battere a macchina.

L’allestimento costituisce non solo l’occasione per conservare il ricordo di un secolo di intraprendenza e di prestigio industriale del territorio cremasco ma anche una preziosa opportunità di documentazione e un interessante stimolo di ricerca culturale per le nuove generazioni.

Qui si conclude il percorso all’interno del Museo, che oltre alla esposizioni permanenti spesso ospita mostre temporanee, che potranno ulteriormente arricchire la vostra visita. Vi consigliamo pertanto di consultare la pagina di CulturaCrema, il portale di informazione su cultura e turismo a Crema, per avere in anticipo tutte le informazioni necessarie per programmare la vostra visita al Museo.