Crema veneziana

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Sotto il Leone di san Marco

Il 16 settembre 1449, giorno in cui la chiesa festeggia sant’Eufemia, dopo diversi anni in cui era rientrata nella sfera d’influenza milanese, Crema passò sotto il dominio della Serenissima.

La città e il suo territorio, come una piccola isola di terraferma circondata quasi completamente dal Ducato di Milano, resteranno fedeli al vessillo di San Marco – eccetto il breve periodo di dominazione francese 1509-1512 – per circa tre secoli e mezzo, cioè sino al Trattato di Campoformio (termine veneto per Campoformido) del 17 ottobre 1797, che sancì la fine della Repubblica di Venezia.

Il dominio veneziano comportò per la città un trattamento di privilegio che le permise di avere un buon livello di autonomia amministrativa e favorì l’economia e il fiorire della cultura e delle arti. In questo periodo Crema fu caratterizzata dal pullulare di botteghe di artisti, pittori, plasticatori e intagliatori.

Il nostro itinerario dedicato a Crema veneziana non può che avere inizio nel cuore della città, piazza Duomo, dove la presenza veneta connotò in modo peculiare l’architettura degli edifici che denotano lo spazio. Tra il 1525 e il 1555 furono infatti ricostruiti il Palazzo comunale, il Torrazzo, il Palazzo Pretorio e il Palazzo della Notaria (oggi Palazzo vescovile).

Tour virtuale di Piazza Duomo

Il Palazzo comunale, iniziato il 20 aprile 1525 per sostituire un edificio vecchio ormai in rovina, costituisce certamente l’emblema del potere politico della Repubblica di Venezia.

Il nuovo imponente edificio, concepito secondo forme monumentali tipiche del Rinascimento, fu completato nel 1547 sviluppandosi con una pianta a L lungo il lato ovest e il lato nord della piazza. Esso è contraddistinto da un piacevole sincretismo tra elementi tipicamente veneziani, come le parti in marmo bianco, ed elementi dell’architettura lombarda, come l’uso delle cornici in cotto. Il prospetto principale si articola in tre ordini: il primo occupato da un raffinato portico con colonne in marmo di Botticino sostenenti archi a tutto sesto profilati da formelle in terracotta, che richiamano la sovrastante cornice marcapiano. Al piano nobile, caratterizzato da semplici finestre rettangolari, spiccano le tre trifore di gusto veneto e la bifora.

Da osservare con attenzione fra le aperture, sono le diverse insegne gentilizie in marmo che ricordano alcuni dei podestà e capitani che hanno governato Crema tra il 1449 e il 1797 e che ci riportano ad alcune delle maggiori famiglie del patriziato veneto: Gritti, Zeno, Zorzi, Da Ponte, Cavalli, Bon e Bondumier.

Il Torrazzo, parte integrante del Palazzo comunale, è una torre civica che sormonta l’accesso monumentale a piazza Duomo. Metteva in comunicazione con Porta Ombriano, aperta nelle mura cittadine verso ovest, in direzione di Milano.

La torre, già esistente nel 1403, venne più volte modificata: nel 1474 fu aggiunta una loggetta, entro il 1525 fu conclusa la costruzione del secondo ordine che ospita lo stemma. Nel 1545 il lapicida bresciano Giacomo Fostinelli si impegnò a consegnare una serie di elementi decorativi destinati a entrambe le fronti del terzo ordine, oggi ancora esistenti, come pure una statua raffigurante San Vittoriano, mentre l’altra statua, probabilmente coeva, rappresenta San Pantaleone. Al terzo ordine tra il 1545 e il 1555 ha trovato collocazione, al di sopra di un balcone a colonnette, l’orologio realizzato da Giovanni Maria da Caravaggio; la lanterna che completa la struttura ha funzione decorativa e, nel 1594, già ospitava la campana usata per convocare le sedute del Consiglio comunale.

Sulla facciata che dà su via XX Settembre, speculare alla facciata che prospetta sulla piazza – eccezion fatta per la presenza al secondo ordine di finestre a goccia –, da notare è l’altorilievo del Leone di san Marco, che la tradizione vuole trafugato dai francesi dal Palazzo Vecchio di Bergamo e nel 1525 consegnato ai Cremaschi da Francesco II Sforza. Dell’originale policromia, che prevedeva il corpo dorato spiccare su un fondo verde e rosso fiammeggiante, rimangono poche tracce.

Il Palazzo Pretorio, come oggi possiamo ammirarlo, risale al 1553-1555 e fu eretto per volontà degli amministratori veneziani per ospitare la residenza del funzionario che ricopriva sia il ruolo di podestà (governatore civile) sia quello di capitano (governatore militare) della città.

L’edificio era, inoltre, sede del Consiglio Cittadino, luogo di rappresentanza e di giustizia: qui, infatti, si adunava l’Alta Corte Pretoria, composta da podestà, camerlengo e giudice. Durante il Seicento e il Settecento l’edificio fu rimaneggiato: in particolare nel 1634 il podestà Marcantonio Falier (1633-1634) fece realizzare il sontuoso e ricco portale d’onore in marmo di Botticino opera di lapicidi bresciani.

Lo scalone dà accesso alla Sala dei ricevimenti, situata al primo piano, utilizzata per gli eventi ufficiali del Comune di Crema. È ornata da stucchi seicenteschi e da ritratti dei podestà databili dal XVII al XIX secolo. Il soffitto è oggi decorato con dei cassettoni lignei rinascimentali, un tempo recava gli affreschi (1553), purtroppo perduti, di Carlo Urbino (Crema, 1525 – 1585) che fu chiamato dal podestà Alvise Mocenigo (1552-1554) per rappresentare la scena della vittoria che Renzo da Ceri riportò sui milanesi durante la battaglia di Ombriano (1514).

Al primo piano, nell’angolo nord-ovest, affacciata su via Frecavalli si trova la Sala del Consiglio comunale, che conserva i ritratti di dieci podestà, sette dei quali sono opera del pittore Gian Giacomo Barbelli (Offanengo, 1640 – Calcinato 1651).

Sulla Torre Pretoria, che si presenta come un felice connubio di elementi medievali, che dominano la parte alta, e rimandi rinascimentali, che si possono invece riscontrare nelle due finestre quadrate decorate a bugnato, degni di attenzione sono certamente l’altorilievo del Leone di San Marco che vi campeggia al centro, originariamente collocato su Porta Ripalta, dalla quale venne rimosso durante la dominazione francese (1509-1512) per essere, solo successivamente, murato sulla torre, e i due stemmi dei podestà che, all’altezza delle due finestre con balconcino in ferro battuto, si collocano in continuità con la serie del Palazzo comunale.

Il Palazzo vescovile sorse nel 1548 come palazzo del Collegio dei notai, giuristi e mercanti a completamento dell’assetto della piazza nella zona che fiancheggia a settentrione il Duomo. In seguito, venne donato dalla Comunità al primo vescovo di Crema, il nobile veneziano Gerolamo Diedo (1580-1584), allo scopo di dotare il prelato di una sede adeguata: il palazzo è infatti menzionato nella bolla di Papa Gregorio XIII, datata 11 aprile 1580, con la quale fu istituita la diocesi di Crema.

Presenta una facciata in stile lombardo rinascimentale, di cui si possono distinguere due parti: nella inferiore un porticato ricalca nell’andamento e nel profilo quello del Palazzo comunale, di cui sono state riprese nella forma e nella fattura anche le decorazioni fittili; la parte superiore è scandita da una doppia serie di cinque finestre sormontata da una fila di oculi. Il balcone marmoreo che campeggia al centro della facciata all’altezza del cornicione fu aggiunto nel 1936; lo stesso anno venne demolito l’ampliamento del palazzo voluto nel 1584 da Gian Giacomo Diedo (1584-1516), secondo vescovo di Crema, lungo il lato nord del Duomo, al quale si allineava per terminare con una breve facciata dotata di un balcone per le benedizioni.

Gli stemmi ai lati della porta-finestra presentano alcuni ornamenti distintivi, come il tipico cappello da cui si dipartono i cordoni che, terminando a tre nappe, indicano la dignità vescovile. Si riferiscono ai primi vescovi della città che appartenevano alle famiglie Diedo ed Emo, esponenti del patriziato veneto.

Prima di lasciare la piazza principale della città entriamo anche in Duomo dove, oltre ad ammirare l’architettura e le molteplici opere ivi conservate, possiamo focalizzare la nostra attenzione su una piccola tavola, collocata nella seconda campata della navata destra, raffigurante la Sacra famiglia con san Giovannino e i santi Elisabetta e Zaccaria.

Essa, donata nella prima metà XIX secolo alla Cattedrale dal cavaliere Giovan Battista Monticelli, è stata attribuita a Francesco Bissòlo (Treviso, 1470 circa – Venezia, 1554), pittore esponente della scuola veneta rinascimentale, discepolo ed epigono del noto Giovanni Bellini (Venezia, 1427/1430 circa – 1516).

Un’occhiata, accingendosi all’uscita, anche alla prima campata della navata destra dove si può scorgere un’arca, lì posta nel 1683 per accogliere le reliquie di san Giacinto.

In questo spazio in passato trovava collocazione un altare che ha sempre avuto una valenza politica superiore a tutti gli altri. Infatti, fino a che Crema è stata nell’orbita dell’influenza milanese, era dedicato a sant’Ambrogio. Dopo il passaggio della città e del territorio cremasco alla Repubblica di Venezia nel 1449, fu per un breve periodo dedicato al Crocifisso, per poi essere dedicato a san Marco, patrono della Serenissima. Verso il 1456 si procedette a realizzare un nuovo altare per sancire la dedicazione al nuovo santo.

Fu plasmato un polittico con statue e rilievi in terracotta per mano del cosiddetto Maestro degli angeli cantori (metà XV secolo). Nel 1509, a seguito della battaglia di Agnadello in cui sconfissero i veneziani, le truppe del re di Francia Luigi XII occuparono Crema. I francesi distrussero tutte le immagini di san Marco presenti in città, danneggiando anche l’altare. Nel 1512 i veneziani poterono riconquistare la città e l’anno successivo il plasticatore cremasco Agostino de Fondulis (Crema, 1460 circa – 1521 circa) fu incaricato di restaurare l’ancona fittile e anche di aggiungerne una parte nuova.

Nel Seicento l’altare fu rifatto e il polittico in terracotta distrutto e sostituito con una tela raffigurante il Cristo che appare a san Marco in carcere, commissionata al pittore bolognese Guido Reni (Bologna, 1575 – 1642). Il dipinto rimase incompiuto per la morte del pittore, ma data la sua fama si decise di acquistarlo comunque e di collocarlo sull’altare dove rimase fino ai restauri del 1952-1958, per poi essere spostato sopra l’ingresso laterale sinistro del Duomo.

Del primitivo polittico in terracotta andato distrutto alcuni resti sono oggi visibili presso il Museo Civico di Crema e del Cremasco, una delle nostre prossime tappe.

Lasciata piazza Duomo dirigiamoci a ovest della città, attraversando l’arco del Torrazzo e percorrendo via XX Settembre per raggiungere la chiesa della Santissima Trinità.

Qui entrando, oltre agli affreschi, alle cappelle e agli altari adorni di pregiate pale, volgendo lo sguardo alla controfacciata dell’edificio il visitatore può ammirare, sopra l’ingresso principale, il Monumento funebre del condottiero Bartolino da Terni, opera di Lorenzo Bregno (Osteno, 1475/1485 circa – Venezia, 1523) datato 1518, unico elemento, con anche l’acquasantiera, ad appartenere al primitivo edificio.

Si tratta del più importante esempio di scultura rinascimentale in marmo presente nel territorio cremasco, eseguita certamente a Venezia su commissione della stessa Repubblica per omaggiare Bartolino e i suoi quarant’anni di dedizione e devota fedeltà verso la città lagunare. Egli infatti, celebre condottiero, nel 1484, durante la guerra tra veneziani e milanesi, si distinse per aver difeso Crema con uno stratagemma dall’attacco degli sforzeschi.

Un aneddoto con protagonista il Terni, spesso rammentato per testimoniare la profonda lealtà del condottiero alla Serenissima, è quello accaduto nel 1488: si racconta infatti che, nella notte antecedente al 9 di agosto di quell’anno, a Crema qualcuno lordò di sterco le insegne del podestà uscente, Bernardo Barbarigo (1487-1488), poste sulla pubblica piazza. Bartolino fu visto di buon mattino vestito in abito di broccato d’oro ripulire con una spugna lo stemma del capitano veneto davanti a tutto il popolo.

Ora ritorniamo sui nostri passi, riattraversiamo piazza Duomo per recarci a est della città, percorrendo via Alessandro Manzoni e via Giuseppe Mazzini, voltando a destra a livello di via Dante Alighieri per raggiungere piazzetta Winifred Terni de Gregorj e quindi la sede del Museo Civico di Crema e del Cremasco.

Qui si segnalano al primo piano, al termine della sezione archeologica, i frammenti fittili di Teste di angeli provenienti dal distrutto altare di san Marco del Duomo di cui abbiamo precedentemente parlato. Sono opera del Maestro degli angeli cantori (metà XV secolo), un plasticatore di cui non è nota l’identità anagrafica, ma che trae il nome convenzionale con cui è conosciuto da due rilievi raffiguranti cori angelici, uno dei quali oggi conservato al Museo del Louvre di Parigi. Nella stessa stanza si possono vedere anche i frammenti di due bassorilievi raffiguranti la Natività e forse la Resurrezione di Cristo. Questi sono stati eseguiti da Agostino de Fondulis (Crema, 1460 circa – 1521 circa) che fu chiamato a restaurare e integrare con parti nuove il medesimo altare nel 1513.

Nella galleria est della pinacoteca da osservare è la grande pala d’altare raffigurante l’Assunzione della Vergine firmata dal pittore veneziano Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (Venezia, 1549 circa – 1628).

L’opera, proveniente dalla distrutta chiesa di Sant’Agostino, fu probabilmente commissionata da Alessandro Cattaneo che nel 1599 ottenne il patronato di una cappella in precedenza dedicata alla Visitazione; nel 1607 l’altare risulta essere già intitolato all’Assunzione e si può quindi ipotizzare che l’opera sia stata realizzata in questo lasso di tempo.

Questo dipinto non è l’unico del pittore presente a Crema: in Palazzo vescovile, infatti, si conserva una tela raffigurante San Gerolamo, mentre la Decollazione di san Giovanni battista realizzata per la chiesa di San Domenico, oggi adibita a teatro, si trova ora nella chiesa di San Giovanni Battista a Saronno.

Sempre in pinacoteca, nell’ambulacro sopra il chiostro settentrionale, degno di nota è pure il Ritratto del Podestà Filippo Farsetti del bergamasco Vittore Ghislandi detto Fra’ Galgario (Bergamo, 1655 – 1743) datato 1691.

Filippo Farsetti, podestà e capitano di Crema (1691-1693), è rappresentato a figura intera in toga e stola cremisi bordate da pelliccia di ermellino. Egli, membro di una famiglia appartenente al patriziato veneziano il cui stemma costituito da un quarto di luna e da due frecce incrociate è visibile alle sue spalle, indica con la mano destra nella parte alta del dipinto l’apparizione miracolosa della Madonna alla giovane Caterina degli Uberti.

A piano terra, nel lato est del chiostro meridionale e nel lato nord di quello settentrionale, rammentiamo di osservare, prima di lasciare il complesso, anche alcune interessanti epigrafi che ricordano i lavori di costruzione delle mura della città e di fortificazione di Porta Ombriano a opera di quattro podestà cremaschi, tutti appartenenti alle più aristocratiche famiglie veneziane: Bernardo Barbarigo (1487-1488), Luigi Barbarigo (1502-1504), Andrea Loredan (1526-1528), Marcantonio Tiepolo (1629-1630).

In relazione alle mura venete, se vi restasse un po’ di tempo, lasciato il museo, il consiglio è di ripercorrere a ritroso via Dante Alighieri, imboccare via Giuseppe Mazzini verso est, attraversando piazza Giuseppe Garibaldi e Porta Serio, per raggiungere sulla sinistra i giardini pubblici ricavati nel perimetro dei resti di uno spalto a forma stellare. Qui, volendo, potreste sostare alcuni minuti per rilassarvi, apprezzando pure alcuni brani discretamente conservati dell’antica cortina muraria costruita a partire dal 1480 circa e completata nel 1509 con i lavori al terrapieno e al fossato esterno.

Per i più instancabili un’ultima tappa potrebbe ancora essere il santuario di Santa Maria della Croce, posto a nord, fuori dalle mura, alla fine del viale omonimo. Oltre ad ammirare l’articolato e innovativo organismo a pianta centrale dell’edificio, ideato ispirandosi ai canoni dell’architettura lombarda rinascimentale interamente realizzato in cotto il cui colore caldo domina affiancato al verde delle cupole in rame e al bianco dell’intonaco, il visitatore entrando potrebbe scorgere la bellissima ancona della cappella maggiore, affidata a Benedetto Rusconi detto il Diana (Venezia, 1460 – 1525) che la realizzò forse nel 1501. L’opera rappresenta l’Assunzione della Vergine, l’interesse del dipinto risiede sia nell’importanza della commissione all’affermato pittore veneziano sia nella raffigurazione dello sfondo dove compare una delle pochissime testimonianze dell’immagine dell’antico castello di Porta Serio.

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Informazioni

L’itinerario comincia da Piazza Duomo